L’esperienza della Consulta per le Persone in Difficoltà: un piccolo passo sui progetti europei, un grande passo per un mondo senza barriere

Contro tutte le barriere

Abbattere le barriere: in queste poche parole potrebbe essere riassunta tutta la missione dell’Unione europea. Barriere al commercio e al transito delle persone, barriere nell’accesso alle infrastrutture e nel godere dei propri diritti, barriere che ostacolano lo sviluppo dei territori e delle persone.

Nonostante i progressi compiuti in molti ambiti, si tratta di barriere con cui le persone con disabilità si scontrano ancora tutti i giorni: nell’accesso all’assistenza sanitaria, all’istruzione, all’occupazione, alle attività ricreative e alla partecipazione alla vita sociale e politica.

Le statistiche dicono che la disabilità, nelle sue diverse forme, riguarda circa 87 milioni di persone, ovvero un europeo su cinque. Ma non è davvero così: è un fenomeno che riguarda tutti, più o meno direttamente. Con l’invecchiamento demografico aumentano le condizioni temporanee o permanenti che limitano l’autonomia. L’inclusione è sempre di più una priorità sociale universale, e l’accessibilità una condizione che consente a tutti di partecipare pienamente alla vita pubblica, lavorativa e culturale.

A questo grande obiettivo sono dedicate la Strategia Europea per le Persone con Disabilità, la piattaforma europea AccessibleEU e – soprattutto – l’attività di tante persone e organizzazioni.

Ne abbiamo parlato recentemente, sviluppando 10 video-pillole in collaborazione con “Rivincite”, un progetto europeo che ha raccolto e diffuso storie bellissime di sport inclusivo. E l’abbiamo fatta nostra ottimizzando la piattaforma della Guida per una massima accessibilità.

Ne parliamo di nuovo oggi presentando l’attività e l’esperienza della Consulta per le Persone in Difficoltà (CPD): un’organizzazione con una visione, con tantissimi progetti e con 37 anni di esperienza a fianco delle persone con disabilità – e non solo.

Lasciamo la parola a Giovanni Ferrero, direttore della CPD, e a Erica Lecce, coordinatrice di uno dei suoi più importanti progetti, l’Agenda della Disabilità.

Giovanni, Erica: che cosa c’è al centro del lavoro della CPD?

Il nostro punto di partenza è molto semplice: ogni persona è un cittadino, uno studente, un lavoratore, un viaggiatore, un artista, uno sportivo, un turista, e molto altro ancora. È tante cose insieme. Ogni persona con disabilità è tutte queste cose, prima ancora di essere una persona con disabilità.

Al centro del nostro lavoro c’è questo concetto e la volontà di diffonderlo, di creare le condizioni perché ogni persona possa partecipare attivamente ai diversi ambiti della vita e della società. Se dovessimo scegliere una parola d’ordine per la nostra missione, questa sarebbe “partecipazione”, prima ancora che “inclusione” o “disabilità”.

Ogni gradino e ogni barriera (non solo fisica) limita la fruizione e la partecipazione di tutti, non solo delle persone con disabilità. Strade, negozi, musei, uffici, scuole, servizi pubblici, siti web o qualsiasi altro elemento della vita quotidiana, quando vengono resi accessibili, lo diventano per tutti. “For All”. Il motto “For All” oggi accompagna chiunque lavori nel nostro settore.

“For All”: qual è il legame tra questo motto e la storia della CPD?

Questo motto non è sempre esistito: il lavoro della CPD ha contribuito a crearlo, a diffonderlo, a realizzarlo con dei progetti.

La Consulta per le Persone in Difficoltà è nata nel 1988. In quegli anni il dibattito su questi temi era particolarmente acceso: grazie a questo dibattito, e anche grazie al lavoro della CPD, sono nate la legge 92/104, la prima in Italia a riconoscere il diritto alla piena integrazione sociale delle persone con disabilità, e in seguito la legge 99/68, specificamente dedicata al loro inserimento lavorativo.

CPD ha avuto un ruolo attivo in questo dibattito, nel creare questo cambiamento. E a seguire, nel presidiare che i diritti fossero garantiti, nel creare nuove soluzioni perché questo potesse realizzarsi, e nel promuovere un cambiamento culturale che andasse aldilà della legge. Su tutto questo c’era – e c’è ancora – del lavoro da fare. Ancora oggi nella nostra città, a Torino, l’80% degli esercizi commerciali ha un gradino, e non è la peggiore. Come abbiamo già detto, ogni gradino è ben più di un gradino: le barriere culturali possono essere ancora più disabilitanti di quelle fisiche. Nella maggior parte dei casi sono il frutto di indifferenza o pigrizia, più che di un vero vincolo fisico. Rimuoverle spesso non costerebbe nulla, e aiuterebbe a creare città dove chiunque possa sentirsi a casa.

Advocacy, cambiamento culturale, azioni concrete: di che cosa vi occupate oggi?

Il nostro focus è sempre quello: advocacy; formazione e sensibilizzazione; e sperimentazione di nuovi servizi per l’inclusione. Lavoriamo sull’inclusione sia per quanto riguarda la disabilità, sia per quanto riguarda altre situazioni di fragilità sociale, economica o relazionale: accompagnamento di persone con difficoltà di deambulazione con mezzi attrezzati (un modo molto concreto per superare le barriere); sostegno alimentare alle famiglie in difficoltà (ne assistiamo più di 500, nell’ambito della rete Torino Solidale); gestiamo uno sportello socio-assistenziale, uno di contrasto alla solitudine e uno di contrasto alla discriminazione, il Banco del Sorriso (per raccogliere e distribuire beni di prima necessità per la prima infanzia, in collaborazione con Fondazione ULAOP-CRT), attività di formazione nelle scuole e per insegnanti su temi della disabilità, e anche un Master in Disability Management.

Tutti questi progetti sarebbero impossibili senza un lavoro di partnership. Alcuni dei nostri più importanti progetti nascono proprio per promuovere un lavoro in rete. Abbiamo Disabilità in Rete, una piattaforma che riunisce 350 associazioni piemontesi, per mettere a sistema il loro impegno per la disabilità, fornendo un punto di raccolta per proposte, servizi, dati e documenti di analisi.

E poi abbiamo l’Agenda della Disabilità, nata e da sempre sostenuta dalla collaborazione con Fondazione CRT. È una piattaforma che riunisce più di 500 enti profit e non profit in tutta Italia. È costruita attorno a sei goal strategici, che esprimono concretamente il nostro impegno a “non lasciare indietro nessuno”: abitare sociale, sostenere le famiglie, vivere il territorio, lavorare per crescere, imparare dentro e fuori la scuola, curare e curarsi.

Ha propri progetti, una raccolta di buone pratiche e testimonianze e una raccolta di fonti informative sulla disabilità.

Per noi è un progetto particolarmente significativo, sia per la sua scala nazionale, sia perché permette di parlare e di agire sulla disabilità insieme al settore privato, agli enti pubblici, a tutta la cittadinanza.

L’Agenda della Disabilità è una grande partnership su scala nazionale. Com’è nato invece il vostro impegno sui progetti europei?

I progetti europei, e più in generale l’azione a livello europeo, sono stati negli anni un naturale accompagnamento alla nostra attività. Non siamo, per così dire, degli specialisti dei progetti europei, né un’organizzazione che insegue i bandi europei a ogni costo. Abbiamo mantenuto negli anni un approccio sempre attento, ma cauto e realistico nei confronti dei progetti europei.

Iniziamo a lavorare in questo ambito nel 2006, in occasione dei Giochi paralimpici invernali di Torino. I Giochi sono stati una grandissima e bellissima occasione per avvicinare le persone al tema della disabilità. Lo sport è stato il primo esempio entrato nelle case di tutti gli italiani (e non solo) per mostrare che le persone con disabilità possono essere grandi atleti, prima ancora che persone con disabilità.

Sempre nel 2006 si sviluppa l’impegno della CPD nel settore del turismo accessibile. Perché è importante? Perché coinvolge: lavorando sul turismo accessibile ci si impegna nel campo dell’edilizia accessibile, delle strategie di accoglienza, della formazione degli operatori commerciali, pubblici, turistici e museali, della sensibilizzazione di volontari e cittadini. Il primo turista di ogni città e chi ci abita: è il primo a vederne i cambiamenti, anche in termini di accessibilità

.Questo nostro impegno nel settore turistico ha avviato una dinamica importantissima di collaborazione con il mondo imprenditoriale, che continua ancora oggi. Infatti, lavorare sull’accessibilità e sulla fruibilità è anche un’opportunità imprenditoriale: apre i propri servizi a nuove – e crescenti – fasce di pubblico e di mercato, e permette di svilupparne di nuovi.

Sempre questo impegno ha portato alla nascita di Turismabile: una piattaforma che promuove il turismo accessibile come base fondante dell’offerta turistica, dell’ospitalità e della valorizzazione del patrimonio turistico e culturale, su tutto il territorio piemontese.

È a partire da questo momento iniziano a vedersi i primi frutti di questo impegno a livello europeo: nel 2008 nasce ENAT, il network europeo del turismo accessibile, punto di riferimento per chi opera nel settore… e anche per creare partnership per i progetti europei.

È stata una lunga strada. Qual è stato il vostro primo progetto europeo?

Esattamente: è stata una lunga strada, ma come vedete è stata una strada che ha portato i suoi frutti proprio mentre la si percorreva, senza fretta. Aldilà di quello che si è poi concretizzato in progetti europei.

Il primo e più importante progetto europeo che abbiamo realizzato è stato STRING, acronimo di “Smart Tourist Routes for Inclusive Groups”. Il progetto era parte di una call della DG Enterprise specificamente volta a progettare, realizzare e promuovere itinerari turistici accessibili. L’opportunità prendeva le mosse da un’iniziativa pilota dell’alleanza europea delle città storiche e accessibili (LHAC), che aveva già iniziato a sviluppare itinerari turistici accessibili in sei città storiche europee, tra cui Torino. Il progetto STRING è intervenuto per promuoverli e per sfruttarne le opportunità in termini turistici ed economici. Anche per questo motivo il progetto non è stato un caso, ma è stato il risultato di una strada che stavamo già percorrendo.

Proprio per questo, anche se era il nostro primo progetto, ne siamo stati i coordinatori. La partnership era ampia (12 partner di 7 paesi) e variegata: istituzioni regionali, organizzazioni come la nostra, tour operator e fondazioni. Fondazione CRT e l’associazione europea delle fondazioni (ora chiamata Philea) ci hanno dato una grande mano a strutturare la partnership e a realizzare il progetto.

Questa partnership ha permesso di realizzare uno dei nostri prodotti più originali, le “STRING Box”: cofanetti regalo (o “gift card”) personalizzabili, con itinerari accessibili in tre regioni europee (Piemonte, Avila in Spagna, Sozopol in Bulgaria) e in tre grandi filoni tematici (arte e cultura, natura e outdoor ed enogastronomia).

È stato un passo importante per promuovere il turismo accessibile e per coinvolgere il settore privato: le STRING Box erano vendute dai tour operator e coinvolgevano con apposite convenzioni numerose strutture turistiche e commerciali.

Il progetto non si è fermato lì: a partire da questa esperienza sono nati cataloghi di turismo accessibile locali (come Langhe4All) e regionali (come Piemonte4All).

Abbiamo poi sviluppato qualche altro progetto, principalmente come partner, non solo in Italia.

Ce ne raccontate un altro che è stato per voi significativo?

Come dicevo, siamo cauti nell’avvicinarci ai progetti europei, perché siamo impegnati in molti ambiti e non siamo (o non siamo ancora) specialisti dei progetti europei. Però quando la nostra attività ci porta in quella direzione, l’esperienza è sempre arricchente. Faccio un altro esempio, molto recente.

Uno degli strumenti che utilizziamo più frequentemente è il gioco. Nell’ambito delle nostre attività educative e con i bambini abbiamo creato giochi di ogni tipo. La nostra mascotte è il grillo Cipidillo, che ci accompagna in molte delle nostre iniziative [N.d.R.: lo vedete nella foto che accompagna questo articolo]. Ci piace giocare, sperimentare nuovi media e nuove tecnologie.

Abbiamo così creato La Città dell’Agenda della Disabilità, un’iniziativa dedicata a portare in giro per fiere e grandi eventi esperienze ludiche multisensoriali per tutti, per sensibilizzare bambini, giovani e adulti sui temi della disabilità.

La Città dell’Agenda della Disabilità è approdata in vari ambiti, come ad esempio alla fiera Torino Comics, in un’area dedicata. Prevede vari giochi, o esperienze: Space Ability, un gioco di carte in cui una congregazione intergalattica deve organizzare attività accessibili e divertenti per tutti gli alieni che ne fanno parte, indipendentemente dalle loro caratteristiche; un Memory tattile e olfattivo, che affina strategie di interazione tipiche delle persone con disabilità sensoriali; (Non) senti chi parla, un gioco che insegna a comunicare senza utilizzare l’udito; un complesso Percorso esperienziale a ostacoli, con carrozzine, bastoni bianchi e bende, per comprendere con il gioco il significato di “barriera”.

Una delle nuove esperienze della Città dell’Agenda della Disabilità si chiama City4All, è molto più “tecnologica” rispetto a quanto avevamo fatto finora ed è stata sviluppata attraverso un progetto europeo, che si è concluso ad aprile.

Il progetto europeo si chiama TrialsNet, è stato finanziato dal programma Horizon e ha promosso sperimentazioni reali e replicabili, per dimostrare l’efficacia delle reti 5G e 6G nell’abilitare servizi ad alto impatto sociale e industriale. Ha fornito un’opportunità a organizzazioni come CPD per sperimentare soluzioni digitali complesse con fondi europei, con tempi rapidi e un approccio applicativo. City4All è stato di fatto un “sotto-progetto” nell’ambito di TrialsNet. Ha permesso alla CPD di sviluppare un gioco in realtà virtuale e di diffonderlo, attraverso la sua attività nelle scuole e con la Città dell’Agenda della Disabilità.

City4All è un gioco progettato insieme a persone con disabilità motorie e sensoriali, per simulare le principali criticità che queste incontrano nell’esperienza della città, e le soluzioni necessarie per superarle. Presenta tre esperienze immersive, ciascuna progettata per riprodurre le sfide affrontate da persone con disabilità specifiche: cecità, sordità e difficoltà motorie.

Anche in questo caso siamo approdati al progetto dopo un lungo percorso di attività “nostre”, che ci ha aperto a nuove idee e a nuove relazioni. Il lavoro con gli altri due partner del progetto, Eurix e WindTre, che hanno una storia e un’esperienza del tutto diverse dalla nostra, ci ha a sua volta aperto un nuovo mondo. Il mondo della tecnologia può essere un nostro alleato, e abbiamo iniziato ad esplorarlo seriamente grazie a un progetto europeo.

Una bella esperienza. In generale, che cosa avete imparato dai progetti europei?

Il nostro obiettivo nella partecipazione ai progetti europei è da sempre principalmente uno: imparare dall’esperienza di altri, aprirsi a nuovi approcci e orientamenti, creare partnership che possano continuare nella nostra attività di tutti i giorni. Un obiettivo che è sempre stato pienamente raggiunto.

Non siamo ancora stati in grado di strutturarci per lavorare sui progetti europei in modo sistematico, ma abbiamo capito che questo è molto importante per poterne portare avanti le attività in modo continuativo, valorizzare l’impegno che richiedono e trarne il massimo beneficio.

Abbiamo anche fatto degli errori, e imparato dagli errori: ad esempio, abbiamo avuto problemi su un progetto per questioni di ammissibilità di uno dei partner. Noi siamo trascinati dalla passione per la nostra attività, ma per lanciarsi davvero nel mondo dei progetti europei è molto importante integrare nella propria organizzazione uno sguardo tecnico che sappia valutarne i dettagli formali e organizzativi.

Tra l’altro, il settore della disabilità non è un settore “facile” dal punto di vista dei progetti europei: non esiste un programma dedicato, ma esistono linee trasversali in vari programmi. Bisogna saper guardare in molte direzioni e tenersi pronti.

Ora il mondo dei progetti europei è cambiato, offre nuove opportunità e nuovi strumenti. È più facile restare informati sulle opportunità, creare rete e trovare partner affidabili. Probabilmente siamo anche cambiati noi: siamo cresciuti, anche grazie ai progetti che abbiamo già realizzato, sappiamo cosa aspettarci e come muoverci. Potremo lavorarci ancora, e di più di quanto abbiamo fatto finora.

Quali sono i vostri piani per il futuro?

Nei progetti europei vediamo una grande opportunità: l’Agenda della Disabilità e le nostre attività sul turismo accessibile si sono sviluppate, direi quasi per forza, o per destino, in progetti europei. Per questo, può essere per noi il momento di dedicarci ai progetti europei in modo più attivo e consapevole.

Abbiamo una rete di partner che sono, anch’essi, sempre più attivi sui progetti europei. Stiamo sviluppando la nostra attività in ambiti, come ad esempio quello delle nuove tecnologie, che si prestano efficacemente a sviluppare progetti europei. Abbiamo scoperto di essere complementari alle aziende tecnologiche: loro sono tecnicamente molto sono forti, ma noi possiamo fornire un’esperienza e dei contenuti che a loro mancano. In questo vediamo una grande opportunità: ci permette di puntare su ciò in cui siamo davvero forti, insieme ad altri partner davvero forti in altri ambiti.

E avremo a breve un grande evento che ci permetterà di raccogliere idee e contatti, di sviluppare relazioni, di parlare con colleghi da tutto il mondo: il World Summit on Accessible Tourism, la convention mondiale sul turismo accessibile, che si terrà a Torino dal 5 al 7 ottobre.

Lo stiamo organizzando con altri partner e sostenitori: è un’esperienza molto impegnativa, ma di grande crescita per tutti noi, e per la nostra città: città che è già capitale europea dell’innovazione e del turismo smart 2025.

Sarà anche un’occasione per rivedere dei vecchi amici, proprio quelli con cui abbiamo mosso i nostri passi sui progetti europei: come Philea e Fundación ONCE, che gestisce oggi la piattaforma europea AccessibleEU.

Siete tutti inviati: non mancate!